15 dicembre 2012

La cupola finanziaria ha ripreso a saccheggiare il mondo. Di Luigi Vinci.





In un articolo dal titolo “Una élite segreta di banchieri governa i mercati dei prodotti derivati”, apparso l’11 dicembre 2011 sul supplemento domenicale del New York Times, Louise Story racconta come vengano prese quelle decisioni della grande finanza che buttano nella miseria interi stati e fanno morire di fame decine di milioni di esseri umani.


Il terzo mercoledì di ogni mese, scrive Story, parte dell’élite di Wall Street si unisce a Midtown Manhattan (il centro commerciale di New York). Si tratta di alcuni capi delle gigantesche banche d’affari JPMorgan Chase & Company, Morgan Stanley e Goldman Sachs. Essi si sono infatti costituiti in un potente comitato sostanzialmente clandestino il cui obiettivo è la protezione degli interessi delle loro banche nei mercati dei prodotti derivati: uno dei settori, come le assicurazioni, più lucrativi, a rischio e ovviamente controversi della finanza. Il contenuto delle loro discussioni e decisioni è totalmente riservato e lo è pure la loro identità. Questo comitato, sottolinea Story, pretende di operare a tutela dell’integrità di mercati che muovono una quantità enorme di miliardi di dollari: in realtà esso opera a difesa del dominio acquisito in questi mercati dalle loro banche, nei due anni successivi alla crisi finanziaria. Tra le operazioni che esso direttamente e indirettamente conduce, attraverso campagne mediatiche e sovvenzionando componenti ed esponenti della politica, sono sia l’impedimento di una legislazione che informi il pubblico dei risparmiatori statunitensi su prezzi, commissioni e livelli di rischio dei vari prodotti finanziari (e di quelli derivati in particolare) che l’impedimento al rientro in questi mercati da parte di altre banche statunitensi. In queste azioni questo comitato ha dalla sua la minaccia di boicottaggio alla Camera dei Rappresentanti da parte dei parlamentari repubblicani, molti dei quali hanno ricevuto dalle sue banche importanti contributi finanziari per la loro campagna elettorale. Anzi una votazione che proponeva prezzi più trasparenti dei derivati è già stata cancellata, ai primi di novembre. 

Quanto i prodotti derivati costino ai cittadini statunitensi non è chiaro ma è indubbiamente molto. La dimensione e l’area operativa dei loro mercati sono cresciute rapidamente negli ultimi due decenni. I fondi pensione oggi usano prodotti derivati come protezione dei propri investimenti. Stati federati e municipalità li usano per ridurre i costi dei denari presi a prestito. Le compagnie aeree li usano per tenere bassi i prezzi del carburante. Le imprese del settore alimentare li usano per bloccare i prezzi di grano e carne. E’ un fatto che il volume globale in valore dei prodotti derivati si è decuplicato dal 1998 al 2008, calando poi solo di un decimo circa nei due anni della crisi economica in corso. Ed è un fatto che attualmente questo volume sta ora ripartendo alla grande.

Paradossalmente la capacità delle grandi banche d’affari statunitensi di impedire alle banche minori di entrare nei mercati dei prodotti derivati è cresciuta grandemente proprio nel momento più drammatico di quella crisi finanziaria del 2008 della quale queste banche sono state le fondamentali responsabili. La preoccupazione principale nel marasma di quel momento era data dal fatto che nessuno, comprese le agenzie federali preposte alla regolazione dei mercati finanziari, riusciva a definire l’entità dei rischi di collasso di questi mercati (e, di conseguenza, di collasso dell’economia nel suo complesso) derivanti dall’andamento pesantemente negativo dei credit default swaps: dei prodotti derivati costituiti da contratti che assicurano contro il fallimento di imprese o di mutui ipotecari. Per esempio l’American International Group, cioè la sesta società di assicurazioni mondiale, con sedi strategiche oltre che a New York a Londra e Hongkong, che aveva realizzato credit default swaps con una quantità di banche, aveva rapidamente perso nella Borsa di Wall Street il 40% del suo valore: donde un’ondata di panico. Perciò data questa situazione le agenzie federali ordinarono alle banche di realizzare rapidamente “camere di compensazione” in grado di gestire e limitare i movimenti caotici dei prodotti derivati. Di queste “camere” ne furono costituite tre, a opera delle finanziarie Intercontinental Exchange (ICE) e Chicago Mercantile Exchange e del Nasdaq (il mercato borsistico via web che tratta soprattutto titoli tecnologici). Queste “camere”, oltre a impedire che momenti di mancanza di liquidità potessero determinare il crack di banche o altri istituti finanziari, dovevano disporre di “comitati di rischio” nei quali i vertici delle banche avrebbero dovuto produrre regole in grado di ridurre i rischi dei prodotti derivati. Ma le grandi banche d’affari, non solo statunitensi, videro in questi “comitati” una grande opportunità per le proprie convenienze, cioè, concretamente, per imporre una loro posizione oligopolistica nei mercati dei prodotti derivati. La riservatezza circa i nomi dei membri di questi “comitati” e le loro discussioni e decisioni particolari impedisce un ragguaglio completo di come quest’opportunità sia stata praticata. Tuttavia l’elenco delle banche partecipi con loro figure direttive di primo piano al “comitato di rischio” dell’ICE dice già molto, dato il rapporto di forze nei “comitati” a tutto vantaggio delle grandi banche d’affari che esso esprime: troviamo infatti in quest’elenco le statunitensi JPMorgan Chase & Company, Morgan Stanley, Goldman Sachs, Bank of America, le britanniche Barclays e Citigroup, le svizzere UBS e Credit Suisse, la tedesca Deutsche Bank.

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