10 luglio 2017

Una locomotiva che sembra tanto un vagone di coda

I numeri sanno essere spietati e fotografano la realtà in modo crudo e spesso lontano da quella che è la percezione dei cittadini. Accade anche in Lombardia, una regione che la vulgata maroniana vuole dipingere come in testa ad ogni classifica possibile, in Italia e in Europa.
In effetti, nel 2016 l'economia della Lombardia ha proseguito un percorso di moderata crescita; il PIL della regione sarebbe aumentato dell'1,1 per cento secondo le stime di Prometeia. Lo comunica la Banca d'Italia nel suo rapporto annuale sull'economia regionale presentato nei giorni scorsi a Milano.
Il calo del prodotto durante le recessioni che si sono succedute tra il 2008 e il 2013 è stato però intenso e la ripresa, ancora debole, non ha permesso di recuperare i livelli pre-crisi.
Il dato più impressionante, secondo Bankitalia, riguarda però gli ultimi quindici anni: dal 2001 ad oggi la Lombardia ha perso posizioni rispetto alle regioni europee a essa simili per grado di sviluppo e struttura produttiva, in termini di reddito pro capite e di capacità innovativa delle imprese. La classifica del Pil procapite delle regioni europee è impietosa: la Lombardia è al 41° posto e rimane agganciata al gruppo delle regioni più sviluppate solo per il rotto della cuffia. Nel 2001 la Lombardia era tra le prime 20 regioni europee.
E' ancora la sintesi della Banca d'Italia a spiegare i motivi di questo declino: rispetto alle aree di confronto, la Lombardia ha continuato a occupare più addetti in attività a più basso contenuto tecnologico. Nel periodo preso in considerazione si è anche ampliato il ritardo nella ricerca e sviluppo e nella registrazione di brevetti. Come se non bastasse, la Lombardia si è distinta per la minore presenza di laureati e per una più elevata quota di giovani non inseriti nel mondo del lavoro, né coinvolti in percorsi di studio o formazione. Non tutti gli indicatori sono negativi, visto che è stato in gran parte colmato il deficit di infrastrutture tecnologiche e digitali e sono anche ripresi, almeno nell'ultimo anno, i consumi delle famiglie e le esportazioni delle imprese.
L'analisi della Banca d'Italia deve farci comunque riflettere: la tanto declamata eccellenza lombarda della stagione formigon-maroniana non trova riscontro nei numeri che ci dicono come la nostra regione abbia patito la crisi più dei concorrenti europei. Non può certo bastare la magra consolazione di un indiscusso primato tra le regioni italiane.
La retorica del mercato e della libera scelta, con la conseguente individualizzazione di molte scelte economiche e sociali ha forse consolidato qualche privilegio e garantito rendite, ma non ha certo fatto crescere il valore economico e sociale della Lombardia.
In una sorta di paradosso istituzionale, il declino della regione risulta coincidere con la maggiore autonomia favorita dalla riforma del Titolo V della Costituzione che, nel 2001, ha assegnato maggiori competenze alla dimensione regionale. Non è dimostrabile un rapporto di causa effetto, ma fa impressione leggere di una Lombardia che precipita di oltre 20 posti nella classifica europea del PIL pro-capite proprio nel periodo in cui ha potuto godere di maggiore autonomia.
Sorge allora qualche dubbio sulla reale capacità di interpretare l'autonomia e il grande investimento su di esse e sul relativo referendum rischia si poggiare su basi tutt'altro che confortanti.
Non basta rivendicare l'autonomia, bisogna saperla interpretare e promuovere in un rapporto virtuoso con le altre realtà istituzionali territoriali e nazionali: i numeri, che sanno essere spietati, ci presentano tutta la debolezza di una Lombardia che si racconta come locomotiva d'Italia e d'Europa, ma rischia di essere uno dei tanti vagoni nella parte finale del convoglio.

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